Scuola e Covid: questo il nodo da sciogliere sfruttando la pausa estiva prima della ripresa delle attività e, si teme, anche della recrudescenza del virus. Mentre il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, nel corso di un’intervista a a Radio Cusano Campus invoca la vaccinazione anche per gli under 16, così da garantire una ripresa in sicurezza, il problema dei contagi in ambito scolastico resta un argomento ricco di chiaro-scuri. Se da un lato è stata evidenziata senza ombra di dubbio sia dalla Società italiana di pediatria che dall’Istituto superiore di sanità l’esigenza per i bambini e i ragazzi di frequentare le lezioni in presenza, sul versante sanitario-emergenziale la questione risulta assai più lacunosa. Tra gli esperti sono in molti a sostenere che le classi spesso troppo affollate, l’assenza di impianti di aereazione adeguata e altre caratteristiche strutturali, rendano la scuola il luogo perfetto per la nascita di sempre nuovi focolai.
Un’opinione comune tra gli insegnanti che Ricerca&Salute ha raccolto presso i docenti delle scuole italiane: “Non passa giorno senza che almeno un paio di ragazzi siano a casa contagiati – spiega C., docente di 60 anni nel quartiere Pianura di Napoli – Ma più spesso è metà della classe a essere messa in quarantena per contatti ravvicinati con positivi all’interno della stessa famiglia”.
In Campania le scuole sono state chiuse più a lungo che in tutto il resto d’Italia e d’Europa, come hanno denunciato anche i media internazionali, ma ciò “non ha comportato un beneficio significativo nel contenimento dei contagi”, spiega Immacolata Marino, ricercatrice dell’Università Federico II di Napoli e autrice, insieme al collega Ugo Grasso, di uno studio che mette a confronto l’impatto della chiusura e dell’apertura delle scuole rispettivamente in Campania e nel Lazio.
La soluzione di chiudere le scuole, quindi, nel rapporto rischi-benefici avrebbe un saldo negativo, tuttavia, sottolinea Marino, resta una stima difficile da definire perché in Campania, così come nel resto d’Italia, mancano i dati relativi alle scuole: “C’è carenza di dati disaggregati, questi non fanno riferimento solo all’età della popolazione contagiata ma a come il virus si è mosso e dove si è propagato, senza è impossibile elaborare una strategia vincente, perché viene meno una base decisionale scientifica”, conclude.
Dad: problema o soluzione?
Anche nel Milanese la situazione non è molto diversa rispetto al Sud, come spiega M., docente di 25 anni alla sua prima esperienza a Rho: “I ragazzi vengono a scuola anche se conviventi con uno o più familiari contagiati in casa”. E ancora: “Spesso il ricorso alla didattica digitale integrata, che permette di lasciare seguire da casa gli studenti in quarantena, è punitiva per tutta la classe”. La vita di docenti e studenti più che essere facilitata è stata resa ancora più complicata dal ricorso alla Didattica a distanza.
In un paese come l’Italia, in cui è ancora forte il gap digitale, la Dad sta traghettando intere generazioni formatesi a distanza durante l’anno e mezzo di pandemia e contro cui i genitori si sono espressi spesso negativamente, facendo ricorso al Tar per fermare le ordinanze regionali che imponevano lo stop alle lezioni in presenza, con risultati variabili. Oggi, come riporta l’agenzia di stampa Nova, il Tribunale amministrativo della Puglia ha respinto la richiesta di sospensione cautelare proposta da un’associazione di genitori che voleva obbligare alla presenza fisica in classe anche gli studenti le cui famiglie avevano scelto la didattica a distanza. I giudici hanno stabilito che l’ordinanza del presidente della Regione, Michele Emiliano, “si inserisce in un contesto di eccezionale e perdurante criticità sanitaria connessa al rischio di diffusione del contagio da Covid-19”, e per questo il dispositivo della didattica digitale integrata appare la misura adatta a garantire il bilanciamento tra diritti di pari rilievo costituzionale, della tutela della salute e dell’istruzione. Anche se i giudici non esitano a definire “tragiche”, per studenti e genitori, le scelte dell’autorità regionale, rilevano per contro anche che la deroga al regime della didattica in presenza è motivata sulla base dell’elevato rischio di diffusione della “variante inglese” del Covid, fenomeno di particolare rilevanza presso la popolazione scolastica, come riportato anche da una nota del Dipartimento della salute della Regione Puglia.
Vaccino tra i banchi
“Abbiamo una quota importante di popolazione sotto i 16 anni, circa 9 milioni di persone”, ricorda Sileri a Radio Cusano Campus. “Proseguire col vaccino per i più giovani – aggiunge – potrà essere un ulteriore passo in avanti verso l’immunità di gregge”. Ma perché questo accada si deve attendere il via libera dell’Ema che il 28 maggio con tutta probabilità rilascerà l’autorizzazione per la somministrazione del vaccino Pfizer ai ragazzi tra i 12 e i 15 anni. Un passaggio che anche il titolare del dicastero della Salute, Roberto Speranza, guarda con ottimismo: “Si tratta di un passo strategico per aprire in totale sicurezza il prossimo anno scolastico”, non solo in Italia ma in tutta Europa.
La compagine di governo converge quindi verso il sì al vaccino per gli studenti, accogliendo le istanze della comunità scientifica. “I bambini e i ragazzi rispondono ancor meglio degli adulti ai vaccini, in particolare quelli con Rna messaggero. Dai dati che conosciamo la risposta immunologica è molto favorevole”, chiarisce all’Adnkronos Paolo Rossi, immunologo pediatra dell’ospedale Bambino Gesù di Roma e componente della Società italiana di pediatria (Sip).
Restano ancora da chiarire le modalità con le quali dovrà avvenire la vaccinazione degli studenti, una volta avuta l’autorizzazione dell’Ema e fatto rifornimento delle dosi mancanti. Un problema sul quale si è soffermato, sempre per Adnkoronos, il professore Italo Farnetani, ordinario di Pediatria presso la Libera Università degli Studi di Scienze umane e tecnologiche – United Campus of Malta: “Se riuscissimo a vaccinare nelle scuole, sicuramente si otterrebbe una risposta quasi totale. Bisogna vedere quali sono i tempi. Ma si potrebbero fare due cose combinate: in estate dal pediatra e poi riproporre il vaccino a scuola per chi non fosse ancora immunizzato”. Vaccinare tra i banchi quindi, per accorciare i tempi e aumentare la partecipazione, spiega Farnetani: “Le vaccinazioni eseguite a scuola – sottolinea – hanno una maggior risposta di quelle eseguite altrove. Non è un problema di fiducia, ma se i genitori devono prendere l’appuntamento, prendersi il permesso dal lavoro, portare il figlio a vaccinare, diventa più difficile. A scuola è molto più semplice”.
Il vaccino per gli studenti appare quindi l’unica via possibile per aggirare, almeno in parte gli ostacoli della chiusura e delle diverse forme di Dad, come segnala in un’intervista al Messaggero anche il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, per il quale la possibilità di somministrare il vaccino di Pfizer ai 12-15 anni rappresenta “un passaggio fondamentale. È una opportunità che non dobbiamo perdere, consentirà maggiore sicurezza nel ritorno a scuola questo autunno per le medie e le superiori”.