Da uno studio italiano la possibilità di sviluppare una terapia efficace
Un test del sangue per diagnosticare precocemente la sclerosi laterale amiotrofica (Sla), e prevedere come e quanto velocemente evolverà. E’ la prospettiva che si apre grazie all’intelligenza artificiale, secondo uno studio italiano pubblicato su ‘Molecular Neurodegeneration’. Gli autori hanno scoperto che “una particolare analisi del sangue permetterà di decodificare una sorta di ‘messaggi in bottiglia’ rilasciati dalle cellule, da cui sarà possibile conoscere il loro stato di salute. Una prospettiva importante per una patologia che solitamente viene diagnosticata dopo diverse indagini mediche ripetute nel tempo da parte di un neurologo esperto”, evidenziano gli esperti in vista della XIV Giornata nazionale Sla promossa da Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica), che si celebra domenica 19 settembre in centinaia di piazze del Paese.
Lo studio è stato disegnato e coordinato da Valentina Bonetto, responsabile del Laboratorio Biomarcatori traslazionali dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, e da Manuela Basso del Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata (Cibio) dell’università di Trento, in collaborazione con il Centro regionale esperto per la Sla (Cresla) dell’Aou Città della Salute e della Scienza di Torino, l’azienda ospedale università di Padova e, a Milano, il Centro clinico Nemo, Ics Maugeri e Casa di cura Policlinico. La ricerca è stata finanziata principalmente dal ministero della Salute nell’ambito del progetto di ricerca finalizzata ‘Giovani ricercatori, di cui Laura Pasetto (Mario Negri, primo autore del nuovo lavoro) e Basso sono rispettivamente responsabile e co-responsabile, e dal programma europeo ‘Marie-Sklodowska-Curie Individual Fellowships’.
“Abbiamo sviluppato un protocollo rapido che permette di misurare le caratteristiche delle vescicole extracellulari nel sangue dei pazienti affetti da Sla – spiega Pasetto – Abbiamo decodificato le informazioni derivanti da queste piccole particelle lipidiche circolanti nel sangue e abbiamo capito come distinguere questi pazienti da altri affetti da diverse malattie neurologiche e muscolari”. Sottolinea Basso: “I dati raccolti con questa caratterizzazione mostrano che le vescicole di pazienti Sla hanno dimensioni e livelli di proteine diversi da controlli sani e pazienti affetti da distrofie muscolari o malattia di Kennedy, malattie che possono mostrare sintomi simili nelle fasi precoci. Utilizzando questi parametri, siamo riusciti anche a predire in maniera accurata la velocità di progressione della malattia”.
Le vescicole, ottenute attraverso un semplice prelievo del sangue, sono state isolate e caratterizzate, riporta una nota del Mario Negri. I dati ottenuti sono stati poi analizzati e rielaborati da Francesco Rinaldi del Dipartimento di Matematica dell’università di Padova, che ha utilizzato dei modelli di Intelligenza artificiale (Ia) per predire con accuratezza se le vescicole appartenevano a una persona sana o con patologia degenerativa.
Oggi “i pazienti Sla ricevono una diagnosi conclusiva in media dopo circa un anno dall’insorgenza dei sintomi, vivendo lunghi periodi di frustrazione, e vengono inseriti con grande ritardo nei protocolli di cura sperimentali, riducendo le probabilità di successo – evidenziano Andrea Calvo del Cresla della Città della Salute di Torino, e Christian Lunetta del Centro clinico Nemo di Milano, medical director di Aisla – La malattia è inoltre molto eterogenea sia per aggressività che per velocità di progressione, rendendo difficoltosa la prognosi e la pianificazione delle cure”.
“L’identificazione di biomarcatori specifici e predittivi per diagnosi e prognosi – conclude Bonetto – sarebbe dunque di grande aiuto non solo per la gestione clinica dei pazienti, ma anche per lo sviluppo di una terapia efficace. Gli stessi risultati sono emersi nei modelli animali e questo è promettente anche per il monitoraggio di future sperimentazioni farmacologiche. Ora ci attendono studi di validazione per poter trasferire le scoperte, rilevate su un campione composto da 106 pazienti Sla e 96 soggetti controllo, alla pratica clinica”.