Fism: “Monitorare i pazienti e studiare la risposta al vaccino mediata da altri tipi di cellule immunitarie”
Alcune terapie per il trattamento della sclerosi multipla riducono la capacità di fare anticorpi anti-Covid nei malati vaccinati con doppia dose, ma la maggior parte dei farmaci ne permette il normale sviluppo. Con Moderna si è avuto il triplo di anticorpi rispetto a Pfizer in questi pazienti.Lo indica uno studio italiano, il più ampio mai realizzato sulla vaccinazione anti-Covid nei pazienti con sclerosi multipla, pubblicato sulla rivista EBioMedicine dal Policlinico San Martino e l’Università di Genova.
La ricerca, cofinanziata dalla Fism (Fondazione italiana sclerosi multipla) e condotta su 780 pazienti con sclerosi multipla, di cui 594 vaccinati con Pfizer e 186 con Moderna afferenti a 35 centri nazionali per la sclerosi multipla, ha verificato che ad un mese dalla seconda dose, la maggior parte dei pazienti vaccinati con Moderna o Pfizer aveva un’elevata copertura di anticorpi contro il Covid-19. La percentuale si è ridotta in chi è trattato con alcuni farmaci, quali l’immunosoppressore fingolimod (93%), e gli anticorpi monoclonali rituximab (64%) e ocrelizumab (44%). In tutti i pazienti è stato osservato che il vaccino di Moderna determina livelli di anticorpi 3.2 volte più alti rispetto a quello di Pfizer.
“II risultati dimostrano che fingolimod, rituximab e ocrelizumab, inibiscono la produzione di anticorpi dopo la vaccinazione anti-Covid – spiega Maria Pia Sormani, coordinatrice dello studio – Con tutti gli altri farmaci i livelli sono normali”. L’obiettivo dei ricercatori è verificare che i malati di sclerosi multipla non si ammalino in forma grave di Covid, in particolare quelli che hanno prodotto bassi livelli di anticorpi.
“Non sappiamo ancora – aggiunge Antonio Uccelli, direttore scientifico del San Martino – se la riduzione di anticorpi contro il Covid si traduca in una minore efficacia del vaccino.
Per questo è fondamentale monitorare i pazienti e studiare la risposta al vaccino mediata da altri tipi di cellule immunitarie, come i linfociti T, che potrebbe garantire comunque una protezione sufficiente”. Tali risultati sono utili per i pazienti fragili in trattamento con farmaci che frenano l’azione del sistema immunitario.