Il 37,7% di tutti i decessi femminili sono per patologie cardiovascolari
Chiamate anche “malattie del benessere”, le malattie cardiovascolari sono in ascesa nel nostro Paese e in tutto l’Occidente. In Italia si stima che rappresentino la prima causa di decesso: 34,8% totali; nei maschi rivestono il 31,7% di tutti i decessi, mentre nelle donne il 37,7%.
“Le malattie cardiovascolari sono un gruppo di patologie cui fanno parte le malattie ischemiche del cuore, come l’infarto acuto del miocardio e l’angina pectoris, e le malattie cerebrovascolari, come l’ictus ischemico ed emorragico. Rappresentano le principali cause di morbosità, invalidità e mortalità in Italia”. È quanto fa sapere il Ministero della Salute nel suo sito web ufficiale. L’insorgenza di queste patologie, sono dovute ad una dieta non equilibrata con eccessi di zuccheri semplici e grassi, unitamente ad un consumo sproporzionato di sale da cucina, causa principale di ipertensione arteriosa. L’Oms consiglia l’assunzione di 5 grammi al giorno, l’assunzione giornaliera stimata si aggira intorno ai 10.
“Le malattie cardiovascolari si presentano nelle donne con un ritardo di almeno 10 anni rispetto agli uomini – avverte il Ministero della Salute – Fino alla menopausa le donne sono aiutate dalla protezione ormonale; in seguito, vengono colpite addirittura più degli uomini da eventi cardiovascolari, che spesso sono più gravi, anche se si manifestano con un quadro clinico meno evidente: molte volte, infatti, il dolore manca, è localizzato in altra sede o è confuso con quello derivato da altre patologie. Per questo, generalmente, le donne si recano in ospedale più tardi rispetto agli uomini”.
Alcuni studi clinici hanno evidenziato che, nonostante le donne registrino minor incidenza, prevalenza e mortalità per tali patologie, ricevono anche meno cure (in termini di prevenzione, accertamenti diagnostici e trattamenti) rispetto agli uomini. I dati però non hanno tenuto conto del responso dei Paesi a reddito medio-basso, un fattore da non sottovalutare data la scarsa disponibilità economica degli abitanti ad acquistare prodotti bio e di stagione, che tendono a preferire cibi a scarso valore nutrizionale ma a prezzi più accessibili. Dallo studio Prospective Urban Rural Epidemiological è emerso che tra le 200 mila persone testate in 27 Paesi sparsi nel mondo, le donne presentano livelli di colesterolo più alti con un riscontro positivo su trigliceridi e glicemia rispetto agli uomini. Si legge, inoltre, che le donne non affette da malattie cardiovascolari, erano più propense all’utilizzo di farmaci che prevenivano le patologie in questione. Quelle invece che avevano già sofferto di questi disturbi, svolgevano più attività sportiva (fattore cardine sul controllo e la prevenzione di queste malattie) rispetto agli uomini.
Coloro che soffrono di queste patologie presentano, tipicamente, un alto valore di colesterolo LDL, definito “cattivo”, nel sangue: esso è esogeno, da non confondere con il colesterolo HDL, detto “buono”, sintetizzato dal nostro organismo. Il colesterolo LDL tende a agglomerarsi sulle pareti arteriose ostacolando il normale flusso sanguigno e – potenzialmente – provocando trombi, ictus e infarti in stadi più o meno gravi.
L’Iss segnala che “nella popolazione anziana (uomini e donne di età compresa fra 65 e 74 anni), il 24% degli uomini e il 39% delle donne sono ipercolesterolemici; il 36% degli uomini e il 38% delle donne è border line”. Non meno importante è la casistica dei diabetici che secondo il Rapporto 2020 di Health Search (Istituto di Ricerca Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie SIMG), la malattia “è in aumento”. Dello è stesso avviso è Claudio Cricelli, presidente della Simg, che dichiara: “I pazienti diabetici (la prevalenza di Mellito di tipo 2) sono passati dal 7% della popolazione nel 2009 all’8% del 2018, con più pazienti maschi (8,6%) rispetto alle donne (7%). E ancora tanti sfuggono alla diagnosi come i bambini e gli anziani, ignari di essere affetti dalla malattia.
Anche il diabete rientra tra le malattie cardiovascolari, in questo caso i livelli di glicemia (cioè quanto glucosio è presente nel sangue) superano i valori massimi standard di 100. Esso è legato ad un malfunzionamento del pancreas che produce insufficiente insulina, un ormone pancreatico che stimola l’assunzione del glucosio da parte del tessuto adiposo e quello muscolare, così smaltendolo.
Ma come è possibile ridurre il rischio di sviluppare queste patologie? L’Italia, come tutti i Paesi dell’area mediterranea, grazie al suo clima temperato, dispone di una quantità e qualità di alimenti stagionali ad eccellenti valori nutrizionali. Il famoso biologo e fisiologo americano Ancel Keys (che visse 101 anni) rimase letteralmente colpito dalle abitudini culinarie di Pioppi, una località del Cilento, i cui abitanti non perivano per le malattie cardiovascolari (come evidentemente succedeva di frequente in America) e si riscontravano numerosi casi di longevità. La “dieta mediterranea” così progettata e diffusa, attraverso l’iconica “piramide alimentare”, mette alla base un 55-65% di carboidrati, di cui il 10/12% semplici; il 25-30% di lipidi (grassi) di cui 2/3 devono essere di origine vegetale e il 10/15% di proteine con consumo di carne rossa limitato con una costante attività fisica. Secondo il biologo, questa era la giusta ricetta tutt’oggi ancora seguita e che “salva” ancora diversi pazienti nel mondo.