Un bambino del Sud ha un rischio del 47% in più di morire rispetto a un bambino del Nord-Est
L’Italia ha “uno dei tassi di mortalità infantile più bassi del mondo, risultati migliori anche rispetto a Paesi avanzati come Francia, Germania e Regno Unito”. Ciononostante “esistono profonde differenze territoriali: la mortalità neonatale e infantile nelle Regioni del Sud e nelle Isole è molto più elevata che nelle Regioni centro-settentrionali. Un bambino che nasce nel Mezzogiorno ha un rischio del 47% in più di morire rispetto a un bambino nato nel Nord-Est. Le Regioni interessate dai più elevati tassi di mortalità infantile sono Sicilia, Calabria e Campania”. A scattare la fotografia delle differenze territoriali del nostro Paese in tema di mortalita’ neonatale e infantile e’ Mario De Curtis, professore ordinario di Pediatria presso Sapienza Universita’ di Roma e componente del Comitato per la Bioetica della Societa’ italiana di pediatria (Sip), nel corso della conferenza stampa di presentazione del congresso digitale Sip che si aprira’ domani. In generale, ricorda, “molte diseguaglianze tra i bambini del nostro Paese sono pre-esistenti la pandemia, ma quest’ultima ne ha determinato un sicuro e profondo peggioramento”.
Un altro aspetto critico illustrato da De Curtis riguarda i figli di genitori stranieri. “I cittadini stranieri contribuiscono notevolmente alla natalita’ del nostro Paese: pur essendo solo l’8,7% della popolazione, contribuiscono infatti a circa il 15% della natalita’. Un dato importante- sottolinea l’esperto- se consideriamo la diminuzione della natalita’ che si e’ avuta negli ultimi anni: nel 2019 abbiamo avuto solo 420mila neonati, 160mila in meno del 2008, e gli ultimi dati del 2020 sembrano indicare una ulteriore riduzione. Un bambino figlio di genitori stranieri- precisa- ha un rischio di morire del 66% piu’ elevato rispetto a un bambino nato da genitori italiani”.
Con la pandemia, prosegue De Curtis, “abbiamo avuto una profonda alterazione delle condizioni economiche e sociali, con un aumento della poverta’ che interessa anche i bambini. Sappiamo che i figli di famiglie povere si ammalano di piu’ e questo puo’ avere conseguenze sul loro sviluppo. Secondo una recente ricerca di Save the children- ricorda- entro la fine del 2020 un milione di bambini e adolescenti potrebbe scivolare in poverta’ assoluta, andando ad aggiungersi al milione di coetanei che gia’ vivono in quelle condizioni e raddoppiando cosi’ il numero complessivo”. Un esempio evidente dell’aggravamento delle condizioni socio-economiche di molte famiglie italiane e quindi delle diseguaglianze tra bambini e ragazzi e’ rappresentato dall’accesso alla didattica a distanza. “L’Istat ha certificato che, durante il lockdown, ben uno studente su 8 non possedeva un pc e piu’ di 2 minori su 5 vivevano in case prive di spazi adeguati per seguire la didattica a distanza”. Sempre in tema di scuola, il docente di Pediatria ricorda un’indagine condotta da Ipsos secondo cui “1 genitore su 10 pensa di non poter acquistare tutti i libri scolastici e 7 genitori su 10 tra coloro che usufruiscono del servizio mensa si dichiarano preoccupati della possibile sospensione del servizio a causa delle norme anti-covid”.
“A questo proposito – aggiunge De Curtis – va ricordato che esistono molte realta’ nel nostro Paese, soprattutto al Sud, dove quello consumato alla mensa scolastica e’ l’unico pasto completo della giornata per molti bambini. Con la pandemia, dunque- constata- gli studenti piu’ svantaggiati economicamente, con la didattica a distanza hanno subito la mortificazione di essere esclusi da un sistema di cui erano parte integrante. In particolare, sono stati penalizzati gli studenti con disabilita’, che rappresentano circa il 3% della popolazione scolastica”. A sostegno del generale peggioramento delle condizioni sanitarie, sociali ed economiche del Paese, ci sono anche i dati di uno studio retrospettivo riguardo al periodo perinatale condotto dalla Sip nella Regione Lazio, prendendo in considerazione i dati relativi alle nascite dei mesi di marzo, aprile e maggio del 2019 e del 2020.
“L’elemento piu’ importante osservato- ricorda il docente- e’ quello legato ai bambini nati morti, la cosiddetta ‘natimortalita” che e’ cresciuta di 3 volte. Questo fenomeno- tiene a precisare- non e’ legato dalle infezioni da Covid, ma soprattutto perche’ molte donne non si sono controllate durante la gravidanza per paura di infettarsi andando negli ospedali e negli ambulatori. Il messaggio e’ dunque che anche in periodi di lockdown, o durante una pandemia, le donne in gravidanza devono controllarsi per individuare precocemente quelle alterazioni che, se non vengono identificate e curate, possono determinare conseguenze gravi”. Cosa fare per accorciare le distanze territoriali e garantire pari diritti a tutti i bambini? “Ridurre la diseguaglianza di reddito e la poverta’, assicurando che tutti i bambini abbiano accesso a tutte le risorse di cui necessitano- suggerisce De Curtis- Per questo forse occorrerebbe una riforma del reddito di cittadinanza che tenga conto anche della presenza di bambini a carico di chi lo percepisce. Agire sulle diseguaglianze territoriali nella disponibilita’ di servizi pubblici: assistenza sanitaria, servizi per l’infanzia, scuola. Contrastare la migrazione sanitaria interregionale dei bambini e implementare e ampliare le politiche per la famiglia. L’investimento nell’infanzia e’ il piu’ efficace e duraturo degli investimenti- sostiene il pediatra- La lotta contro la poverta’ infantile ed educativa rappresenta una priorita’ che va messa al centro dell’azione politica affinche’- conclude- ci sia un futuro per il nostro Paese”.