Il modello zebrafish applicato ai tumori neuroendocrini: intervista al professore Vitale

Fare ricerca di altro livello oggi in Italia, tra tagli e coronavirus, è ancora possibile? Ne abbiamo parlato con il medico endocrinologo Giovanni Vitale, professore associato all’Università degli Studi di Milano. Napoletano di nascita e milanese d’adozione Vitale ha abbracciato la ricerca scientifica senza mai perdere di vista il paziente.

Professore, a che punto è la ricerca in Italia?

Abbiamo grandi menti, giovani molto promettenti, tuttavia la crisi finanziaria tra i numerosi settori ha investito anche quello della ricerca. Basta guardare ai tanti italiani che vanno all’estero per fare ricerca e che lì ottengono grandi risultati per capire che incrementando i finanziamenti potremmo essere tra i primi al mondo in questo settore.

In qualità di direttore del Laboratorio di Ricerche di Neuroendocrinologia Geriatrica ed Oncologica dell’Istituto Auxologico Italiano ha ricevuto un importante finanziamento per la sua attività di ricerca. Un grande traguardo anche considerato che è raro che questi fondi vengano attribuiti a enti esterni agli Stati Uniti.

Sì, infatti è la prima volta che la Neuroendocrine Tumor Research Foundation (NETRF) finanzia un istituto italiano. In particolare è stato finanziato lo studio pre-clinico Tumorxenografts in zebrafish: a new in vivo model for lungcarcinoids. Il NETRF è un ente senza scopo di lucro dedicato proprio alla ricerca sui tumori neuroendocrini.

Di cosa tratta il progetto?

Lo studio è basato sullo sviluppo di un nuovo modello animale con zebrafish per la ricerca sui tumori neuroendocrini polmonari, in particolare per i rari carcinoidi polmonari. Su questo tipo di neoplasia non esistono modelli preclinici validi, quindi anche la ricerca in ambito farmacologico è bloccata. Non si tratta di tumori aggressivi, tuttavia possono dare metastasi nel 20-30% dei casi e ad oggi non esistono terapie adeguate. Noi, in particolare abbiamo usato embrioni di linee trans geniche di zebrafish, la cui caratteristica è che sono trasparenti.

Perché è così importante che siano trasparenti?

Perché riusciamo a vedere cosa accade nel pesce dopo aver iniettato i tumori umani. L’obiettivo è utilizzare questo modello come se fosse un recipiente: nell’embrione riusciamo a vedere cosa avviene in un sistema in vivo.

Perché proprio questi embrioni?

Perché presentano una proteina fluorescente che è legata ai geni espressi dalle cellule endoteliali, quindi riusciamo a vedere bene l’angiogenesiindotta dal tumore che si verifica durante lo sviluppo embrionale. Possiamo studiare quindi sia il tumore che il vaso all’interno dell’embrione. Questo è fondamentale, ricordo che i vasi sono indispensabili per la crescita della neoplasia (portando ossigeno e sostanze nutrienti) e consentono alle cellule tumorali di lasciare il sito di origine e metastatizzare.

E’ la prima volta che questo modello viene usato per i tumori neuroendocrini?

E’ un modello già usato, ma sarà la prima applicazione nei tumori neuroendocrini dei polmoni. Il focus della nostra ricerca è proprio la ricerca di una terapia efficace per questo specifico tipo di neoplasia.

Una cura farmacologica?

Sì, un aspetto molto interessante del modello zebrafish è che possiamo valutare l’effetto dei diversi farmaci dato che i pesci sono permeabili alle piccole molecole, come gli inibitori delle tirosinchinasi, una classe di farmaci recentemente usata con successo soprattutto in ambito oncologico. E’ sufficiente versare il farmaco nell’acqua dove c’è l’embrione, per fare in modo che la molecola sia assorbita e raggiunga il tumore. Così facendo possiamo utilizzare il modello zebrafish per un rapido screening farmacologico, dato che nel giro di pochi giorni dalla somministrazione del farmaco è possibile già osservare la risposta. Studiare questo processo in altri contesti può significare aspettare mesi con costi anche rilevanti.

Uno studio avanguardistico che viene effettuato in Italia, si sente sostenuto dallo Stato nella sua attività?

Sì, in passato diverse realtà italiane ci hanno sostenuto, tra queste anche MIUR e AIRC. È però vero che negli ultimi anni c’è stata una riduzione generale dei finanziamenti alla ricerca. Anche in quest’ottica ricevere fondi americani è importante.

Qual è l’obiettivo della ricerca che sta coordinando all’Istituto Auxologico Italiano?

Il nostro scopo è quello di arrivare a una terapia per tumori rari. Essendo endocrinologo nasco come clinico, tuttavia spesso un clinico perde di vista la ricerca di base e l’importanza dell’innovazione, mentre chi fa ricerca di base perde di vista il paziente. La cosa più importante è riuscire a fare entrambe le cose: essere sia clinico che ricercatore dà quella elasticità mentale che serve per risolvere numerosi problemi su entrambi i versanti e soprattutto aiuta a non perdere di vista il vero obiettivo. Non combattiamo la cellula ma il problema del paziente.

 

 

Giovanni Vitale

Medico e professore associato in Endocrinologia presso l’Università degli Studi di Milano e direttore del Laboratorio Sperimentale di Ricerche di Neuroendocrinologia Geriatrica ed Oncologica, presso l’Istituto Auxologico Italiano IRCCS di Cusano Milanino (MI)