Felicità: la dieta per la longevità

Restare giovani e in forma non dipende solo dalla scelta di un sano stile di vita. Il segreto è una Santa alleanza tra corpo, mente e società.

I più accreditati studi sottolineano il fatto che trovare un senso per la vita e definire degli obiettivi generali per quello che si vuole ottenere, può aiutare effettivamente a vivere più a lungo, a prescindere da quando troviamo tale scopo.
“Sii felice e vivrai di più”. La felicità è un potente predittore di longevità.

Sulle prime può sembrare una conclusione intuitiva e quasi scontata ma per arrivare a chiare e convincenti prove, su rigorosa base scientifica di questo semplice enunciato, sono stati necessari centinaia di studi relativi al rapporto tra stati d’animo e salute generale. Alla fine, i ricercatori americani hanno trovato evidenze sufficienti a dimostrare che l’assenza di stress cronico, ansia e disturbi affettivi garantisce in media una vita più lunga e soprattutto anni migliori.
WilkinsonPickett (2009) arrivano alla conclusione che il corpo umano è una macchina straordinaria nel reagire a quello che viene chiamato lo stress acuto. Quando siamo coinvolti da un evento stressante nel nostro organismo si attiva una reazione detta di combattimento e fuga. Una secrezione di ormoni da parte delle ghiandole surrenali permette di rilasciare l’energia accumulata così il sistema immunitario si attiva, i vasi sanguigni si restringono, il cuore e i polmoni aumentano la loro attività, i fattori di coagulazione aumentano nel sangue per riparare eventuali ferite, il cervello diviene più reattivo e riduce la percezione del dolore. Questa reazione è salutare se termina rapidamente. È  invece dannosa se diventa cronica. In questo caso il cervello diminuisce la memoria, le funzioni cognitive e aumenta il rischio di depressione e di insonnia, il sistema immunitario si deteriora, la costrizione cronica dei vasi sanguigni aumenta il rischio di ipertensione e malattie cardiovascolari, le funzioni digestive e sessuali divengono soggette a vari disturbi. Insomma la biologia dello stress ci dice che il problema non è lo stress ma lo stress cronico che  ci consuma e l’infelicità è una fonte formidabile di stress.

Il mondo animale offre ulteriore conferme, per quanto diverso dal nostro: i membri di una specie, esposti a situazioni di stress come le gabbie affollate, hanno un sistema immunitario debole e una maggiore suscettibilità alle malattie cardiache, e finiscono col morire prima rispetto a quelli più liberi.
La scienza riconosce che per alcune patologie stati d’animo negativi non sono inferiori a quelli di celebrati fattori di rischio come l’obesità o il fumo di sigaretta. Non vanno nemmeno visti solamente come quegli stati transitori legati a fluttuazioni nel tono dell’umore, ma come il riflesso di differenze individuali stabili nel generale tono affettivo, di una generale e diffusa predisposizione a sperimentare emozioni positive e ad avere una migliore concezione di sé e una più ottimistica visione del mondo. Queste differenze, in parte innate e individuali, tuttavia sono una importante componente legata alle esperienze della vita, e ciò rende conto della possibilità di intervenire per incrementare la capacità delle persone di sperimentare emozioni piacevoli e il senso di benessere e capacità personale.
Non solo grasso e fumo, quindi, ma pare sempre più opportuno aggiungere felicità.

Nel luglio 2011, l’Assemblea Generale della Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 65/309 Happiness: Verso una definizione olistica di Development con cui invita i paesi membri a misurare la felicità del loro popolo e di utilizzare i dati per aiutare a guidare la politica pubblica. Il 2 aprile 2012, si è svolta la prima riunione ad alto livello delle Nazioni Unite sul tema Benessere e felicità: Definizione di un nuovo paradigma economico, che è stata presieduta dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon.

L’aspirazione della società è il fiorire dei suoi membri e i soldi non sono l’unico strumento ma bisogna garantire equità, onestà, fiducia e buona salute. Questa sembra la nuova strada per lo sviluppo sostenibile. Per dirla con le parole di Francis Bacon il denaro è come il letame: non buono, salvo che sia ben distribuito.

Nel 1996, un editoriale del British Medical Journal (BMJ) definiva “grande idea” l’aver rintracciato un nesso tra equità nella distribuzione del reddito e salute della popolazione.Il primo World Happiness Report pubblicato nel 2012, ha dimostrato che il benessere e la felicità sono indicatori critici dello sviluppo economico e sociale di una nazione e dovrebbero essere un obiettivo chiave della politica.

Nonostante la grande crisi, negli ultimi anni i forzieri delle società opulente non sono mai stati così pieni di ricchezze, eppure altrettanto disagio percorre la vita delle sue genti: atomizzazione, egoismo, irresponsabilità, sofferenza psichica, violenza. L’effetto “broken societies” dipende proprio dall’aumento delle diseguaglianze. I crescenti differenziali di reddito hanno un potente effetto su come le persone si relazionano le une alle altre, aumentano le distanze nella piramide sociale rendendo penosi i confronti e condizionano il benessere psicologico.

La crescita economica fa aumentare la speranza di vita solo nelle sue fasi iniziali mentre successivamente si indebolisce fino a scomparire senza aggiungere anni alla sopravvivenza.
Ma la felicità non può essere solo un affare di legge o di politica ma è, innanzitutto, un percorso personale.
La felicità è un dare, un fare. È un produrre qualcosa che esprime la più intima essenza della persona, è il proprio destino, la più autentica identità. La visione produttivistica del reddito va completamente stravolta: non vengo pagato per qualcosa che faccio, ma per essere chi sono.