Sono italiani i ricercatori che hanno scoperto il meccanismo alla base delle trombosi vascolari nei pazienti colpiti da Covid-19.
Un team dell’Università Bicocca di Milano, in uno studio finanziato da Airc e pubblicato sull’Americal Journal of Hematology, ha spiegato le cause dell’alta percentuale di trombosi venose e arteriose dei pazienti affetti da Covid-19.
A illustrare la scoperta Carlo Gambacorti-Passerini, direttore della Clinica ematologica dell’ Università presso l’Ospedale San Gerardo di Monza: “Sapevamo che l’infezione determina una grande propensione a sviluppare trombosi venose e arteriose anche mortali in una percentuale di pazienti che arriva fino al 50 per cento. Rimaneva però ignoto cosa causasse questo fenomeno”. I ricercatori si sono concentrati sul marcatore sFlt1 prodotto dalle cellule endoteliali. E hanno scoperto che i suoi valori, in particolare il rapporto tra sFlt1 e PlGF (fattore di crescita per le cellule endoteliali) si innalzano fino a 5 volte durante il ricovero dei pazienti. Un innalzamento che non si verifica in pazienti con polmoniti non Covid-19. “E che – ha precisato Andrea Carrer, primario di Ematologia al San Gerardo – avviene molto presto, nei giorni immediatamente successivi al ricovero”. Unica eccezione, come rilevato da Valentina Giardini, primario Ostetrico Fondazione Mamma e Bambino, al San Gerardo, “è una malattia della gravidanza nota come preeclampsia”.
La conseguenza più importante è che questa alterazione chiama in causa la molecola che il virus utilizza per entrare nelle cellule, nota come Ace2. In particolare, “il fatto che Ace2 venga soppresso dopo l’entrata del virus causa questo aumento di sFlt1 e quindi suggerisce che Covid-19 infetti direttamente le cellule endoteliali, quelle cioè che tappezzano la superficie interna dei vasi e hanno il compito di evitare l’innesco della coagulazione, almeno nei pazienti che sviluppano complicanze trombotiche”.
Questo, per i ricercatori offre un razionale per l’utilizzo precoce di farmaci anticoagulanti (come l’eparina), e di altri farmaci quali aspirina o sartanici (questi ultimi erano stati accusati di favorire l’infezione, ndr.), in grado di bloccare l’aumento di sFlt1.
“Questi risultati – avverte Gambacorti-Passerini – richiederanno conferma tramite studi prospettici ma la loro rapida diffusione potrà permettere un trattamento più razionale ed efficace di questa nuova malattia”.