Coronavirus e particolato atmosferico: un possibile “indicatore” di future recidive

A noi che siamo stati formati in ambito scientifico è sempre stato insegnato a star lontani dai preconcetti, ma a verificare attraverso il metodo sperimentale la congruità o l’inesattezza di ogni ipotesi. Certamente, la domanda di ricerca che riguarda la possibilità di una presenza del nuovo coronavirus (SARS-COV-2) sulle polveri sottili (il famigerato PM10 delle nostre città) risulta ragionevole e fondata su numerose evidenze sperimentali già disponibili per altri virus. In questo caso, il razionale per porsi la domanda di ricerca si fonda su molti studi che hanno già documentato l’adesione di altri virus al particolato atmosferico. Esistono infatti ricerche che hanno documentato la presenza sul PM10 del virus dell’influenza stagionale ed aviaria, ma anche del morbillo (per quest’ultimo ci sono evidenze persino di potenziamento della diffusione epidemica grazie al particolato). Al contempo sono già disponibili studi che confermano il riscontro del coronavirus nell’aria indoor di ospedali cinesi e americano, nonchè esperimenti che ne documentano la capacità di sopravvivenza nell’aria. 1-16

A poco più di un mese dalla pubblicazione di un Position Paper sulla “Valutazione della potenziale relazione tra l’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione dell’epidemia da COVID-19”,17 la Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) ha annunciato che il coronavirus SARS-Cov-2 è stato ritrovato sul particolato (PM).18-20 Questa prima prova apre la possibilità di testare la presenza del virus sul particolato atmosferico delle nostre città nei prossimi mesi come indicatore per rilevare precocemente la ricomparsa del coronavirus e adottare adeguate misure preventive prima dell’inizio di una nuova epidemia.21-22

La ricerca mirava espressamente a cercare la presenza dell’RNA del SARS-CoV-2 sul particolato atmosferico. Le prime evidenze relative alla presenza del coronavirus sul particolato provengono da analisi eseguite su 34 campioni di PM10 in aria ambiente di siti industriali della provincia di Bergamo, raccolti con due diversi campionatori d’aria per un periodo continuativo di 3 settimane, dal 21 febbraio al 13 marzo.4 I campioni sono stati analizzati dall’Università di Trieste in collaborazione con i laboratori dell’azienda ospedaliera Giuliano Isontina, che hanno verificato la presenza del virus in almeno 8 delle 22 giornate prese in esame. I risultati positivi sono stati confermati su 12 diversi campioni per tutti e tre i marcatori molecolari, vale a dire il gene E, il gene N ed il gene RdRP, quest’ultimo altamente specifico per la presenza dell’RNA virale SARS-CoV-2. È stato quindi possibile confermare da parte dei ricercatori la presenza di RNA virale del SARS-CoV-2 sul particolato atmosferico rilevando la presenza di geni altamente specifici, utilizzati come marcatori molecolari del virus, in due analisi genetiche parallele.20

Si tratta della prima prova sperimentale che l’RNA del SARS-CoV-2 può essere presente sul particolato in aria ambiente (outdoor), suggerendo così che, in condizioni di stabilità atmosferica e alte concentrazioni di PM, le micro-goccioline infettate contenenti il coronavirus SARS-CoV-2 possano stabilizzarsi sulle particelle per creare dei cluster col particolato, aumentando la persistenza del virus nell’atmosfera come già ipotizzato sulla base di recenti ricerche internazionali. L’individuazione del virus sulle polveri potrebbe essere anche un buon marker anche per verificarne la diffusione negli ambienti indoor come ospedali, uffici e locali aperti al pubblico. Le ricerche hanno ormai chiarito che le goccioline di saliva potenzialmente infette possono raggiungere distanze anche di 7 o 10 metri, imponendoci quindi di utilizzare per precauzione le mascherine facciali in tutti gli ambienti”.22

La prova che l’RNA del SARS-CoV-2 può essere presente sul particolato in aria ambiente non attesta ancora con certezza definitiva che vi sia una terza via di contagio. Tuttavia, occorre che si tenga conto nella cosiddetta Fase 2 della necessità di mantenere basse le emissioni di particolato per non rischiare di favorire la potenziale diffusione del virus. A tal proposito, ricordiamo che ad oggi le osservazioni epidemiologiche disponibili per Italia, Cina e Stati Uniti mostrano come la progressione dell’epidemia COVID-19 sia più grave in quelle aree caratterizzate da livelli più elevati di particolato.23 E’arrivato il momento di affrontare il problema.

Sono in corso ulteriori studi di conferma di queste prime prove sulla possibilità di considerare il PM come ‘carrier’ di nuclei contenenti goccioline virali, ricerche che dovranno spingersi fino a valutare la vitalità e soprattutto la virulenza del SARS-CoV-2 adeso al particolato. Le prove sperimentali della possibilità della presenza del coronavirus sulle polveri sottili nelle città della pianura padana, ma anche al centro-sud, vanno raccolte e prodotte adesso e non domani. La motivazione è del tutto intuitiva anche al cittadino non addetto ai lavori: se stiamo cercando un possibile marcatore dell’epidemia da Covid-19 sul particolato dobbiamo cercarlo mentre l’epidemia è ancora in corso ed il virus circola ancora. Dopo non troveremo più nulla. E sprecheremo solo denaro pubblico. A tal proposito è bene precisare che i ricercatori mobilitati da SIMA si sono resi disponibili gratuitamente e che le indagini sono state condotte senza nessun finanziamento pubblico o privato, ma solo per amore della conoscenza e della verità, in spirito di servizio al bene comune e per fornire un contributo alla tutela della salute dei nostri concittadini.

Certo, quelle riscontrate da SIMA, in una prospettiva di libera iniziativa di ricerca, sono evidenze preliminari e confermano quanto sia di base dannoso per la salute avere zone del Paese in cui le concentrazioni medie annuali di PM10 e PM2.5 sono molto spesso al di sopra dei limiti definiti come protettivi per la salute dall’OMS già nel 2005 (limiti che sono la metà di quelli definiti dalla legge e che rappresentano il riferimento normativo per le ARPA e per i provvedimenti di limitazione del traffico o del riscaldamento urbano). Elevate concentrazioni di polveri sottili, specie in determinate condizioni climatiche, rappresentano già di per sé un vulnus alla salute che predispone anziani e soggetti fragili a una maggiore suscettibilità ad infezioni e complicanze. Si tratta di dati già noti, per quanto scarsamente percepiti nell’opinione pubblica, se si pensa che l’Agenzia Europea per l’Ambiente stima circa 75.000 morti ogni anno per cause legate all’inquinamento atmosferico solo in Italia.24 Non si può quindi che essere lieti che ISPRA con tutto il sistema delle ARPA, ISS ed ENEA abbiano deciso di attenzionare il problema delle polveri sottili e salute umana avviando uno specifico studio ad hoc, che potrà godere di tutte le risorse pubbliche necessarie. Approfondire tali effetti dannosi, per quanto già noti, è sempre cosa utile anche se i tempi di realizzazione non dovessero essere brevi. È un dovere delle istituzioni preposte alla tutela della salute pubblica – in questo momento di drammatico crollo del PIL italiano – di percorre ogni strada scientificamente plausibile, investendo il denaro di noi contribuenti per fornire ai cittadini italiani ulteriori elementi per una ripresa in sicurezza di una sempre più normale vita sociale ed economica.

Nel frattempo la ricerca indipendente va avanti e aver riscontrato (e doverosamente comunicato senza indugio, come ha fatto anche la Harvard School of Public Health negli USA)23 prime evidenze di presenza del coronavirus sul particolato apre già oggi la strada ad un possibile utilizzo di questo tipo di test come indicatore precoce di recidive epidemiche di COVID-19, o anche per la valutazione della qualità dell’aria indoor di strutture ospedaliere, RSA, locali aperti al pubblico.18-20 La chiave di lettura giusta è quella indicata da Walter Ganapini in un suo recente commento25 ed è in linea con le dichiarazioni rese a “The Guardian” dal Prof Jonathan Reid della Bristol University in Gran Bretagna – che ritiene plausibile e non sorprendente l’ipotesi di ricerca dell’adesione delle goccioline di saliva infette contenti coronavirus alle polveri sottili, così come già verificato in ambienti indoor da studi cinesi – e dal Prof. John Kelly dell’Imperial college di Londra, che incoraggia la ripetizione dell’esperimento da parte di altri gruppi indipendenti.26

Nel frattempo, sapere della possibile presenza del virus sulle polveri atmosferiche è una preziosa informazione in vista dell’imminente riapertura delle attività sociali, che conferma l’importanza di un utilizzo generalizzato delle mascherine da parte di tutta la popolazione. Se tutti indossiamo le mascherine, la distanza inter-personale di 2 metri è da considerarsi ragionevolmente protettiva permettendo così alle persone di riprendere una vita sociale.

Prisco Piscitelli – Cattedra UNESCO in Educazione alla Salute e allo Sviluppo sostenibile 

Medico epidemiologo e vicepresidente Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), Ricercatore ISBEM (Bruxelles) e Specialista in Igiene e Medicina Preventiva (ASL Lecce).

 

Riferimenti Bibliografici

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