Una ricerca innovativa sui disordini cardio-metabolici coordinata dal gruppo di endocrinologia della Facoltà di Medicina e Odontoiatria dell’’Università “Sapienza” di Roma si propone di attuare una strategia rivoluzionaria : rinvigorire le cellule che riparano il danno vascolare per guarire più velocemente dai danni indotti dal diabete.
Il 7 Luglio 2021 scorso si è svolto il webinar dal titolo : “Defective tissue repair in metabolic disorders: what we have reached and were we are heading” – Organizzato dall’Università Sapienza di Roma incollaborazione con la PantaRei impresa Sociale. Sin dal 2008, il gruppo di ricerca del Prof. Andrea M. Isidori e del Prof. Andrea Lenzi della storica Scuola di Endocrinologia dell’Università “Sapienza” di Roma si è impegnato nello studio delle complicanze della patologia diabetica, condizione che ancora ad oggi non trova un inquadramento terapeutico univoco.
Il gruppo di ricerca “Sapienza” guidato dal Prof. Andrea M. Isidori, Ordinario di Endocrinologia, ha iniziato l’attività di ricerca in campo cardiometabolico, validando i criteri diagnostici che definiscono la cardiomiopatia diabetica, complicanza cardiovascolare del diabete mellito, spesso sottovalutata o misconosciuta, ma che è una delle prime cause di decesso proprio nel paziente diabetico. Per approfondire tale aspetto sono stati condotti ulteriori studi volti ad analizzare le differenze di genere nella diagnosi della cardiomiopatia diabetica e nella risposta a trattamenti sperimentali nell’ambito del progetto PRIN 2015:
“Defective tissue repair in metabolic disorders: untangling its role and key mechanisms for novel therapeutic approaches” 2015ZTT5KB.
Questi studi sono stati realizzati al fine di definire i meccanismi chiave coinvolti nella riparazione del danno cardiaco e dell’infiammazione cronica, condizione sottostante
la patologia diabetica e i disordini metabolici, e di generare possibili nuovi approcci terapeutici.
Da oltre 10 anni, il gruppo di ricerca del Prof. Andrea M. Isidori e del Prof. Andrea Lenzi della Scuola di Endocrinologia dell’Università “Sapienza” di Roma si è impegnato nello studio delle complicanze della patologia diabetica, condizione che ancora ad oggi non trova un inquadramento terapeutico univoco.
L’idea del gruppo dei giovani ricercatori dell’Università “Sapienza” di Roma ha innanzitutto un forte impatto sociale.
Il diabete mellito (DM) è inftti una malattia cronica caratterizzata da un accumulo di glucosio nel sangue e ad oggi può essere considerata una patologia epidemica, la cui prevalenza è in continuo aumento a livello mondiale. Il DM è causato da una alterata secrezione o funzione dell’insulina, ormone cardine nella regolazione della glicemia. Attualmente si distinguono vari tipi di diabete: diabete di tipo 1 (T1DM), diabete di tipo 2 (T2DM), maturity onset diabetes of the young (MODY) e latent autoimmune diabetes of the adult (LADA).
Il T2DM è la forma più frequente di diabete. In questa patologia, il pancreas produce insulina ma non in una quantità sufficiente (deficit di secrezione di insulina) oppure l’organismo non è in grado di utilizzarla in modo ottimale (insulino-resistenza). Secondo i dati del Ministero della Salute, in Italia i pazienti affetti da T2DM sono più di 3 milioni; si deve tener conto che a questo numero, già elevato, va aggiunto un altro milione di persone, a cui non è mai stato diagnosticato. La patologia diabetica di per sé predispone a
complicanze acute e croniche, micro- e macro-vascolari, responsabili da una parte un peggioramento psico-fisico, e quindi della qualità della vita dei pazienti, dall’altra di un notevole incremento delle ospedalizzazioni e del rischio di morte nel paziente diabetico.
Per ultimo, considerando l’alta prevalenza e nella popolazione mondiale, il fallimento del controllo glicemico e lo sviluppo di complicanze ha un notevole impatto sui costi a carico del sistema sanitario nazionale.
La ricerca italiana nel settore cardiometabolico è indubbiamente tra le più quotate al mondo, con più di 500 ricercatori in Italia che investono il loro impegno e le loro risorse per comprendere quale siano i meccanismi responsabili dello sviluppo delle complicanze del diabete mellito e trovare nuove strategie per affrontarle. Ciò è testimoniato dalle oltre 5mila pubblicazioni su riviste internazionali dal 2000 ad oggi. In questo florido contesto di ricerca scientifica, un contributo prezioso è stato possibile anche grazie alla ricerca finanziata dal MIUR (PRIN 2015) condotta da un gruppo di ricercatori italiani di fama internazionale capitanati dal professor Andrea M. Isidori dell’ Università di ROMA”La Sapienza”.
I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati nelle più prestigiose riviste scientifiche tra cui: Journal of American College of Cardiology (JACC), Lancet Diabetes and Endocrinology, Nature, Circulation Research, Diabetes, e molti altri giornali scientifici autorevoli.
Il Progetto esprime al meglio lo spirito che si respira in “Sapienza” nell’ambito della ricerca, ovvero la necessità di multidisciplinarità e traslazionalità. L’interazione tra i ricercatori di base e i clinici ha permesso sostanziali avanzamenti nella comprensione della fisiopatologia delle complicanze cadiometaboliche e dei sistemi cellulari e molecolari implicati nella riparazione del danno vascolare nei pazienti diabetici, sistemi cruciali nel causare un danno, non reversibile quando anche la patologia diabetica venga controllata dal punto di visto metabolico.
Nei pazienti diabetici, infatti, il processo di riparazione dei tessuti risulta più lento o in alcuni casi compromesso. In generale la rigenerazione tissutale necessita della partecipazione e dell’interazione tra le cellule del sistema vascolare, del sistema immunitario e di altre cellule coinvolte nella riparazione tissutale fra cui le cellule staminali. Tali processi sono normalmente coordinati da vie di segnalazione tra le cellule del tessuto stesso che, tuttavia, nella patologia diabetica sono alterati. Tra le complicanze del diabete la cardiomiopatia diabetica (DCM) risulta essere uno dei principali motivi di ospedalizzazione e mortalità nei pazienti T2DM, con un tasso doppio rispetto ai pazienti non diabetici. Ciò suggerisce che il sistema di riparazione difettivo ha effetti negativi nel mantenere una struttura cardiaca normofunzionante. Partendo da queste evidenze, coniugando osservazioni di ricerca di base e cliniche incentrate su microcircolazione, cellule staminali, metabolismo energetico, stress ossidativo e matrice extracellulare, sono state identificate nuove strategie dirette a migliorare i processi di riparazione dei tessuti nelle malattie metaboliche.
Determinante a tal fine è stato il confronto tra gli esperti endocrinologi e cardiologi, iniziato fin dal concepimento del progetto di ricerca e rimasto parte portante durante tutte le varie fasi dello studio (nella raccolta dati, nella analisi statistica e nella stesura dei risultati).
La stretta collaborazionemultidisciplinare è stata da sempre il cardine della ricerca indipendente dei giovani studiosi dell’Università “Sapienza”, che hanno condotto uno studio validando i criteri diagnostici che definiscono la cardiomiopatia diabetica già nel 2012. Lo studio è stato registrato sull’NIH e pubblicato sulla prestigiosa rivista Circulation (clinicaltrial.gov – NCT00692237, “Chronic Inhibition of cGMP phosphodiesterase 5A improves diabetic cardiomyopathy: a randomized, controlled clinical trial using
magnetic resonance imaging with myocardial tagging.”, Circulation 2012)
Ciò ha permesso di finalizzare un prodotto che ha arricchito notevolmente le conoscenze della nuova promettente disciplina endocrino-cardiologica.
La ricerca ha confermato e ampliato le conoscenze riguardo gli effetti benefici degli inibitori della PDE5 (PDE5i), farmaci utilizzati comunemente in ambito andrologico, ma con iniziale indicazione nel paziente con cardiopatia ischemica. Proprio grazie al sostegno del MIUR tramite il progetto PRIN2015, il gruppo dell’Endocrinologia di “Sapienza” ha dimostrato che la terapia con PDE5i si dimostrava efficace nel revertire le alterazioni morfologiche e cinetiche subcliniche caratteristiche della cardiomiopatia diabetica. La risonanza internazionale dei risultati ottenuti dai giovani ricercatori nei precedenti studi, unitamente al crescente interesse della comunità scientifica rispetto alla cardiomiopatia diabetica ha spinto il gruppo di ricerca a disegnare uno studio longitudinale prospettico che mirava a descrivere la storia “naturale” di questa complicanza microvascolare tramite una rivalutazione degli stessi pazienti a 5 anni di distanza.
Nonostante una stabilità del controllo metabolico, i ricercatori hanno descritto la progressione della DCM misurando i cambiamenti nelle proprietà cinetiche e viscoelastiche della parete ventricolare sinistra cardiaca correlati al rimodellamento cardiaco in corso di T2DM. In estrema sintesi, i risultati hanno descritto il cuore diabetico paragonandolo a una molla che ha perso la propria elasticità: durante la contrazione cardiaca non si accumula abbastanza energia potenziale nelle fibre miocardiche e nella matrice extracellulare (ECM), quindi viene restituita meno energia durante il rilasciamento, compromettendo così la
contrazione cardiaca. Le alterazioni cliniche sono state confermate in-vitro ed in-vivo su modelli animali. Lo studio dei possibili meccanismi ha individuato alterazioni della ECM, nello specifico della metalloproteinasi (MMP-2), come principale fattore responsabile del danno cardiaco secondario all’iperglicemia e all’insulino-resistenza. Al fine di identificare potenziali marcatori di malattia, i ricercatori hanno quindi studiato l’espressione di microRNA circolanti, piccole molecole di RNA non codificanti con una lunghezza media di 22 nucleotidi che fungono da interruttori per modulare l’espressione genica, dato il crescente interesse alla correlazione fra dato clinico e biologia molecolare nelle nuove inuizioni scientifiche. In particolare, se si verifica l’inattivazione di un microRNA si ha un aumento dell’mRNA bersaglio, al contrario, la loro attivazione porta alla down-regolazione del target.
Un miR, il miR-122, è stato identificato come un potenziale marker diagnostico di malattia e responsabile della progressione della DCM, essendo capace di regolare l’espressione e l’attività proteolitica di MMP-2. I risultati finali di questo studio sono stati recentemente pubblicati sulla prestigiosa rivista JACC cardiovascolare imaging (Diabetic Cardiomiopathy Progression is Triggered by miR122-5p and Involves Extracellular Matrix: A 5-Year Prospective Study, JACC cardiovascular Imaging, giugno 2020).
Durante l’esecuzione di questo studio, sono state pubblicate diverse evidenze sull’utilizzo dei PDE5i per il trattamento di diverse malattie cardiache, tuttavia con risultati contrastanti. Nell’era della medicina di precisione non si può ignorare un possibile contributo del sesso/genere nella risposta al trattamento con PDE5i. Pertanto, guidati dal desiderio di fornire alla comunità scientifica di descrivere possibili differenze di genere di risposta al trattamento, e quindi descrivere il fenotipo del paziente meritevole di trattamento, il
gruppo di ricerca ha disegnato un nuovo trial clinico (NCT01803828 – REmodelling in Diabetic CardiOmyopathy: Gender Response to PDE5i InhibiTOrs – RECOGITO ) somministrando il farmaco a uomini e donne (in menopausa) diabetici. La somministrazione per 5 mesi di PDE5i ha rallentato il rimodellamento cardiaco associato a cardiomiopatia diabetica migliorando il profilo infiammatorio, negli uomini ma non nelle donne in menopausa.
Questa brillante sperimentazione ha chiarito, per la prima volta in un modello umano di cardiomiopatia diabetica, che l’efficacia dei PDE5i sulle complicanze micro-angiopatiche e di rimodellamento cardiaco sono ormono-dipendenti. Questa nuova intuizione colloca la sperimentazione nell’ ambito della medicina di precisione, sottolinenando: 1) le differenze di genere nell’evoluzione del danno micro-angiopatico verso la cardiomiopatia come evento correlato alla alterata riparazione tissutale nei pazienti diabetici; 2) la differente risposta al trattamento nei due sessi.
Nel tentativo di identificare meccanismi molecolari coinvolti nello sviluppo delle complicanze
cardiovascolari in corso di DM, gli sperimentatori del gruppo di ricerca hanno analizzato i recettori tirosin- chinasi (TKR), che insieme alle angiopoietine e alla via di segnalazione del VEGF, sono regolatori chiave dell’integrità e dell’architettura dei vasi. Tra le angiopoietine, l’angiopoietina-1 (Ang1) e l’angiopoietina-2 (Ang2) contribuiscono alla formazione di nuovi vasi e al loro mantenimento. Ang1 e il suo concorrente Ang2 si legano al comune TKR endoteliale, il recettore tirosin-chinasi 2 specifico dell’endotelio (Tie2). Mentre Ang1 agisce come agonista di Tie2 per mantenere l’integrità dei vasi sanguigni, Ang2 compete con Ang1 per il legame di Tie2, esercitando così una funzione inibitoria sulla segnalazione Ang1/Tie2 . Ci sono prove emergenti che uno squilibrio del rapporto Ang2/Ang1 potrebbe contribuire a complicanze micro- e macro-vascolari osservabili nel diabete di tipo 2. Oltre all’endotelio, il recettore Tie2 è espresso anche da un sottoinsieme unico di monociti, i monociti che esprimono Tie2 (TEM), che sono stati considerati cruciali per il rimodellamento e la riparazione dei tessuti. È interessante notare che TEM e Ang1 sono difettivi in modelli murini diabetici e nei pazienti con T2DM. Lo studio ha dimostrato come l’inibizione cronica della PDE5 ripristini la capacità angiogenica attraverso la via Ang1-Tie2, normalizzando la frequenza dei monociti pro-infiammatori circolanti, chiarendo almeno in parte i meccanismi molecolari dei benefici di questi inibitori.
Per quanto concerne i potenziali effetti intramiocardiaci, nei soggetti diabetici di età adulta è stato osservato come le cellule staminali cardiache (CSCs) mostrano un tipico fenotipo secretorio associato alla senescenza (SASP), mostrano quindi caratteristiche di cellule “invecchiate” e per questo posseggono un ridotto potenziale rigenerativo. Tale fenomeno sembra essere associato ad una diversa presenza di un cluster di microRNA. Un’analisi dei network degli mRNA e i microRNA isolati da CSCs da pazienti T2DM ha confermato che un microRNA- il miR-29c è significativamene diminuito nelle CSC prelevate da pazienti diabetici, con aumento dei relativi mRNA bersaglio; cosa più interessante è che è stato sufficiente rintrodurre questo miR nelle CSCs per ristabilirne il loro potenziale rigenerativo completamente funzionante. Sorprendentemente è stato possibile ripristinare la riparazione cardiaca ripopolando il tessuto miocardico diabetico con CSCs da donatori non diabetici sani, ed è stato possibile correggere il segnale molecolare di c-kit, nelle CSC in modelli murini di T2DM per ristabilire la risposta endogena cardioregenerativa.
Prove cliniche e sperimentali suggeriscono che l’aumento di insorgenza di insufficienza cardiaca e nefropatia osservabile nei pazienti diabetici sia associata ad un aumento delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) che predispongono ad una disfunzione endoteliale. Esperimenti condotti su diversi modelli di cardiomiociti, hanno mostrato come l’iperglicemia induca un aumento della formazione specie reattive dell’ossigeno a livello mitocondriale che alterano la permeabilità mitocondriale (PTP), generano stress a livello del reticolo endoplasmatico fino a causare disfunzione diastolica e fibrosi cardiaca.
E’ stato dimostrato come tali fenomeni siano dovuti ad un’aumentata attività della monoammino ossidasi (MAO) eche il trattamento con gli inibitori di questo enzima sia in grado di far regredire tali alterazioni, suggerendo la MAO come un nuovo target terapeutico per questa patologia così articolata e complessa.
Il T2DM, non è associato solo ad alterate funzioni cardiovascolari ma anche a quelle adipocitarie. In questo contesto l’inibizione della PDE5 può influire sull’adipogenesi, il meccanismo di formazione del tessuto adiposo (TA), e migliorare la “qualità” del TA bianco deputato al mantenimento delle riserve energetiche. I ricercatori hanno evidenziato come i PDE5i siano in grado di ridurre la quantità di TA, principalmente quello viscerale (VAT), tramite un miglioramento della qualità delle cellule infiammatorie ed endoteliali presenti
nel tessuto stesso. Inoltre un effetto diretto del PDE5i sull’adipocita si è dimostrato efficace nel diminuire l’accumulo di gocce lipidiche (REF). Come per PDE5, anche il recettore mineralcorticoide (MR) è noto regolare il differenziamento dell’adipocita. Infatti, il gruppo di ricerca ha dimostrato come il trattamento di modelli murini diabetici con un antagonista dell’MR, il finerenone, sia stato in grado di contrastare sia lo sviluppo dell’obesità che le alterazioni glicemiche attraverso l’attivazione del tessuto adiposo bruno.
Questo ha aperto la strada per nuovi approcci terapeutici contro l’obesità e il diabete.
Tutti i risultati ottenuti in questi studi ci fanno comprendere come la ricerca Italiana indipendente sia in grado di investire in risorse giovani e di riuscire a competere con ricerche di livello internazionale, offrendo un contributo concreto nella conoscenza dei meccanismi fisiopatologici alla base delle patologie attuali e nel tentativo di identificare nuovi terapie farmacologiche.