In Italia le persone colpite da demenza sono circa 1 milione
I pazienti malati di Alzheimer non dementi (Non-Demented with Alzheimer Neuropathology – NDAN) hanno la capacità di attivare una risposta cerebrale antiossidante efficace al punto da far fronte alla neurodegenerazione causata dall’Alzheimer. A dimostrarlo è un nuovo studio pubblicato su The Journal of Neuroscience, dal titolo Oxidative damage and antioxidant response in frontal cortex of demented and non-demented individuals with Alzheimer’s neuropathology, frutto della collaborazione tra la University of Texas Medical Branch, l’Oregon Health & Science University e l’Università degli Studi di Roma Tre.
La demenza è in crescente aumento nella popolazione generale ed è stata definita dal Rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e di Alzheimer’s Disease International una priorità mondiale di salute pubblica: circa 35,6 milioni di persone nel mondo ne risultano affette, con 7,7 milioni di nuovi casi ogni anno e un nuovo caso diagnosticato ogni 4 secondi. In Italia, secondo l’Istat, circa 1 milione di persone sono colpite da demenza e circa 3 milioni sono direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari. Tra le forme di demenza, la più comune e devastante è la malattia di Alzheimer, i cui casi potrebbero triplicare nei prossimi 40 anni, in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione, con costi sociali ed economici elevatissimi. Lo studio contribuisce a chiarire gli eventi molecolari alla base della malattia di Alzheimer (Alzheimer’s Disease, AD), sottolineando il ruolo delle difese antiossidanti contro la neurodegenerazione in soggetti che invece presentano placche amiloidi e grovigli neurofibrillari nel cervello, tratti istopatologici caratteristici della malattia di Alzheimer. Si sono affrontati i meccanismi per cui un particolare gruppo di individui, indicato come Non-Demented with Alzheimer Neuropathology (NDAN), resiste alla demenza, nonostante i depositi amiloidei e della proteina Tau siano invece indicativi di una sintomatologia di Alzheimer.
“Lo studio si basa sull’analisi di 34 campioni post-mortem di corteccia cerebrale di soggetti controllo, alzheimeriani e NDAN sia maschili sia femminili ai quali la University of Texas Medical Branch (UTMB) ha accesso grazie alla collaborazione con la Brain Bank dell’Oregon Health & Science University – afferma il prof. Giulio Taglialatela, vice Chairman del Dipartimento di Neurologia e Direttore del Mitchell Center for Neurodegenerative Diseases della UTMB insieme alla sua equipe composta dalle dott.sse Anna Fracassi (formatasi a Roma Tre conseguendo sia la Laurea Magistrale che il PhD e attualmente post-doc presso la UTMB), Michela Marcatti, Olga Zolochevska, Natalie Tabor – Nei tessuti dei soggetti NDAN abbiamo scoperto una differente espressione dei fattori che modulano la risposta antiossidante: in particolare, molecole di microRNA regolatrici negative di fattori di trascrizione della risposta antiossidante, sono presenti a basse concentrazioni negli individui NDAN e altamente espresse nei pazienti alzheimeriani”.
“Da anni il nostro gruppo di ricerca a Roma Tre – spiega la prof.ssa Sandra Moreno, docente di Neurobiologia dello Sviluppo presso il Dipartimento di Scienze dell’Ateneo romano e Direttore di un Master in Embriologia Umana Applicata – si occupa del ruolo dei radicali liberi nella fase di innesco e di progressione della malattia di Alzheimer. Oggi abbiamo un’ulteriore conferma del nostro lavoro: lo studio, infatti, rivela la capacità dei soggetti NDAN di attivare una risposta cerebrale antiossidante efficace, per far fronte allo stress ossidativo, che rappresenta uno dei meccanismi primari di danno. Tale resilienza innata sembra così giustificare le abilità cognitive intatte degli NDAN, che in effetti mostrano livelli di danno ossidativo ai neuroni e alla glia più bassi rispetto agli AD, simili invece alla condizione normale di controllo”.
Il lavoro, oltre a far progredire le conoscenze sulla malattia dell’Alzheimer e sul ruolo della prevenzione dello stress ossidativo, come forma di resistenza alla neurodegenerazione provocata dalla patologia, può gettare le basi per nuovi approcci terapeutici alla malattia, possibilmente basati sull’attivazione delle difese antiossidanti attraverso un intervento mirato alla modulazione di specifiche molecole di microRNA.