Tra eccellenze e disuguaglianze: una proposta per migliorare il Servizio Sanitario Nazionale attraverso la ricerca.
Come evidenziato in un recente commento pubblicato sul Lancet Pubblic Health, la sanità italiana resta una delle prime al mondo secondo quanto confermano gli indicatori utilizzati al livello internazionale che valutano l’efficacia, efficienza e accessibilità dei sistemi sanitari. Il nostro servizio sanitario nazionale, istituito con legge 833 del 1978 (di cui abbiamo da poco festeggiato il 40esimo anniversario) è stato concepito su basi universalistiche ovvero per garantire le migliori cure o prestazioni possibili a tutti i cittadini, superando le disparità dei sistemi mutualistici differenziati sulla base delle categorie lavorative (sistema ancora vigente in Germania, ad esempio) così come le criticità degli approcci assicurativi individuali (che lasciano senza assistenza milioni di poveri anche in moderne democrazie come gli Stati Uniti d’America). Con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, si è addirittura superato la lettera del dettato costituzionale che si limitava a “garantire cure gratuite agli indigenti”, facendo prevalere il prioritario sforzo di tutela della salute come estremo interesse della collettività, oltre che dell’individuo, da parte della repubblica italiana.
Su questi eccellenti principi l’Italia ha costruito un capillare sistema di ospedali e policlinici in grado di soddisfare le più avanzate domande di salute anche in branche iperspecialistiche come la cardiochirurgia pediatrica, la radio e adro-terapia, la chirurgia assistita da robot o dispositivi laser, senza dimenticare la presenza di una vastissima rete territoriale di pediatri e medici di famiglia che non lasciano scoperti da possibilità di assistenza sanitaria nemmeno i non residenti o i cittadini stranieri a qualsiasi titolo temporaneamente presenti su territorio nazionale.
Ma i migliori risultati e la più elevata percezione qualitativa da parte degli utenti, si riscontrano o si rilevano nelle strutture che coniugano visibilmente ricerca scientifica (quantificabile dal numero e impatto delle pubblicazioni prodotte), assistenza (cure o prestazioni diagnostiche) e formazione (corsi di laurea o specializzazioni mediche e biomediche). Pur nell’eccellenza generale del sistema, è un fatto, purtroppo, che la sanità italiana – nell’ambito di innovazione e modernità appena descritto – si stia muovendo a diverse velocità che coincidono con differenti aree geografiche e livelli di reddito pro-capite. Le disuguaglianze, probabilmente sempre esistite, sono aumentate dopo il varo della riforma costituzionale che ha affidato alle regioni la competenza in maniera sanitaria senza tener conto dei diversi livelli di partenza, ma prevedendo sistemi premiali per le regioni già più avanzate e punitivi per quelle più svantaggiate.
Non a caso, nell’epoca della libera circolazione delle persone e delle informazioni, assistiamo a un ampia mobilità di pazienti (in genere dal sud al nord Italia) che vogliono essere curati e assistiti laddove percepiscono che il sistema sanitario è sulla “frontiera della conoscenza” .
Mentre molti si interrogano, non senza fondamento, sull’opportunità di un ritorno ad un unico SSN, le disuguaglianze della sanità italiana possono oggi essere superate solo aumentando al contempo l’attrattività del sistema per i pazienti e le professionalità distintive (anche dall’estero). Come? E’ presto detto: è necessario incrementare il tasso di ricerca e il numero di ricercatori in tutte le articolazioni nel servizio sanitario nazionale, fino ai piccoli ospedali di periferia ed agli ambulatori di medicina generale. Giovani biologi, biotecnologi, laureati in scienze motorie, professioni sanitarie, scienze ambientali e medici dovranno collaborare insieme nei territori, anche favoriti dalla nuova interpretazione del ruolo delle associazioni professionali, perché la ricerca scientifica esca dalle università e si riversi in tutte le strutture sanitarie delle nostre asl e aziende ospedaliere. Ci sono tutte le potenzialità per realizzare quest’operazione di eccellenza sanitaria diffusa che avrebbe l’ulteriore effetto positivo di consentire ai nostri giovani di contribuire alla sviluppo e al miglioramento dei livelli di salute delle loro provincie d’origine, nel contesto di intensi scambi e relazioni scientifiche ed internazionali.
Prisco Piscitelli – Cattedra UNESCO in Educazione alla Salute e allo Sviluppo sostenibile
Medico epidemiologo e vicepresidente Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), Ricercatore ISBEM (Bruxelles) e Specialista in Igiene e Medicina Preventiva (ASL Lecce).